Fischio. Siamo ai rigori. E' la fine; o è l'inizio? Si è pensato di tutto. Tutto. Di nuovo come 12 anni fa, quando in America era mezzogiorno e il caldo tagliava le gambe e risucchiava vorticosamente il respiro. Io, dodicenne, già avevo avuto la fortuna di festeggiare un Mondiale, Spagna '82, tra le braccia di mia madre, portando il fardello dei miei sei mesi. Pasadena, avevo la febbre. Vidi Baresi piangere. E adesso sento la paura. La possibile ripetizione dell'orrore. Ma anche che non può andare sempre così, cazzo no. Zidane non c'è più, ormai lavato via a vita dal mio nostalgico cuore juventino un pò stinto; via con un colpo di testa come fece a Parigi 8 anni fa. In campo le facce mettono i brividi e tutte le voci sono sussurri. Marcello cerca con gli occhi altri occhi, quelli in cui brilla quella scintilla, quella che potrebbe accendersi, infiammarsi e divampare ovunque. E chiama vicino a sè tutti, perchè questo momento è di chiunque, anche di quelli che col calcio non hanno niente a che vedere. Chiede, perchè è solo con le buone che si ottengono le cose, e prosegue nell'ispezione psicologica, nella ricerca di quel barlume di follia e di fermezza. E forse trova. i nomi sono cinque, come le dita di una mano, un pugno di uomini il cui sangue ormai scorre denso e nobile; ma non come il blu delle notti d'estate e della Parigi pittoresca bensì come l'Azzurro dei Mari della Sardegna, dei Cieli delle Alpi, delle MAglie dei nostri Cuori. Andrea. Marco. Daniele. Alessandro. Fabio. Questo è il momento, atteso. Distolgo per un attimo lo sguardo dalle immagini che parlano di speranza e di terrore, e fisso mio fratello, DAvide, dodici anni come me dodici anni fa. Piange. Non è ancora successo niente e piange, come già aveva fatto quando la strada si era fatta salita insormontabile, minuto sette di un primo tempo troppo lontano. "Davide, vieni qui" dico. E lui, senza rispondere, seguita a struggersi e affonda ancora nel divano. Mia madre, zitta. Mio padre, concentrato. Alessandro, per me sempre piccolo, in piede, mani nei capelli, in attesa. Gli amici, Silvio, manu, Viviana, paralizzati. Io e Silvio ci stringiamo forte le mani, rapiti. Torno a guardare lo schermo ed Andrea che si avvicina. Silenzio. Urlo.
E infine c'è Fabio. Basta fare un passo, un ultimo passo per cambiare tutto. Nessuno ha più freni, ma nessun bisbiglìo nell'aria. Fabio, con calma...
Indescrivibilmente siamo lassù.
beh!sempre poeta...ke dire...suoni l'adagio anche quando festeggi?ma un urlo da paura quando me lo fai "sentireeeeeeeeeeeeee"????daiiiiiiiiii!po po po po po po pooooooooooo!!!
RispondiEliminaIl fatto è che ieri sera ho finito la voce... putroppo non sono cantante (o almeno non pofessionista) come te... fidati che le urla ci sono state....
RispondiEliminaCAMPIONIIIIIIIIIIIIIIIII