domenica 16 aprile 2023

cinquesettembreduemilasedici

Sembrava lontano, davvero lontano. Questo 5 Settembre è stato, lungo questo anno, una data sì cerchiata in rosso sul calendario, ma distante, sempre un passo più in là dell'orizzonte quotidiano. Ma il 5 Settembre è arrivato. Come mi sento? Quante volte ho sentito questa domanda negli ultimi giorni. Non lo so, vi dico adesso. Dovrei dormire, ma sono ancora qui davanti al pc a scrivere, dopo corse e camminate e saluti e baci e auguri e quante altre cose. Ero una trottola, siamo stati due trottole, a girare vorticosamente senza mai un momento per scartare, ondeggiare, perdere lo spin e infine fermarci. Non lo so, forse è proprio questo che significa unire due vite; non fermarsi, continuare con il moto cercando un assetto magico con cui andare avanti. Insieme. Io non so se sono pronto, non so che succederà, non so se andrà tutto bene, non so mille altre cose. Ma so di amare Nicoletta. So che la scelta è quella giusta e so che anche da parte sua ci sono gli stessi interrogativi e le stesse risposte. E vedo tanto amore intorno a noi, persone sinceramente felici per il nostro amore. C'è chi ride, chi scherza, chi piange. Ma tutti son contenti. Lo spero tanto.
Ritorno con i pensieri a tante piccole istantanee di questi nove anni che ci stiamo lasciando alle spalle.
Quella passeggiata per Lucca, nelle stradine medievali, solo noi senza alcun pensiero nè progetto. Stavamo semplicemente camminando fianco a fianco. Sarebbe potuto finire tutto dietro la curva successiva, o dopo tre giorni, o un mese.
Quelle sere, tantissime, passate su msn. A parlare e giocare, persi in una rudimentale sarabanda di suoni e pensieri.
Quella serata in cui ero senza voce, a scrivere su di un quaderno e tu a me vicina a ridere per le mie scemenze afone con un cucchiaino di tiramisù nelle mani.
E Perugia? Non la scordo Perugia, bambini lungo la nostra storia.
Noi a Roma. La prima volta davvero lontani da casa. La prima volta ad affacciarci seriamente sul mondo dei grandi.
Il primo giorno nella casa assolutamente vuota di Dusseldorf, adulti. Soli circondati da quattro muri bianchi e niente altro. Niente altro che noi due.
Ce ne sono mille altre, immagini che riaffiorano e trascolorano. Tante, troppe. E vedo anche del bianco - ancora bianco, questo colore che ritorna - tutte le pagine che dobbiamo scrivere insieme.
Sto scrivendo in modo strano, io di solito non compongo così i miei pensieri. Di solito c'è un filo che unisce il tutto, mentre questo brano lo sento slegato, incrinato. Sarà la tastiera, sarà il sonno, sarà questa schiena che mi sta facendo male, saranno i genitori nell'altra stanza che non voglio disturbare, saranno i rumori della strada che salgono in questa stanza. Ma è vero, tutto assolutamente vero. Non vedo l'ora che oggi sia domani. E che domani sia come tutti gli ieri che abbiamo vissuto insieme.


Stranamente pubblicato oggi, mentre fu scritto il 5 settembre 2016... Ah, l'internetto

Ho sposato Mastro Ciliegia!

giovedì 19 maggio 2022

In tempo di guerra

Niccoló, grazie per le tue parole


La strada si fa stretta
Ed è più stretta ad ogni giro di lancette
E perché estuario e non un delta
Questa strada alla fine non dà scelta
Alla fine non c'è scelta
E l'itinerario umano non prevede alcun ritorno
Ma un'andata un anno come un giorno
Solo sabbia colorata
Nell'ampolla sottostante della mia clessidra
Il tempo non si sfida
Il tempo non si sfida
Tu muoviti per sempre pigramente
Si muore nel rigore
Nel movimento assente
Nel pensiero senza amore
E io è di questo che ho paura
Perché quando mi fermo
È arrivata la mia ora

Non è finita, non è finita
Può sembrare ma la vita non è finita
Basta avere una memoria ed una prospettiva
A prescindere dal tempo
Non è finita, non è finita
Nonostante tutto il male non è finita
Fino a quando ho una memoria ed una prospettiva
A prescindere dal tempo, a prescindere da tutto
A prescindere da me

Chi tace non è vero che acconsente
È solamente che il rifiuto non sempre trova le parole
Anche io modestamente non capisco ma resisto
E ammutolisco dal disgusto
Ma cosa centrerò mai io con tutto questo?
Cosa centrerò mai io con tutto questo?
Comandanti fateci il piacere
E se prendete decisioni decisive sulle nostre vite
Fatelo soltanto nel momento successivo a un vostro orgasmo
Grazie a quell'attimo di pace
Avremmo un mondo senza rabbia
Un mondo senza guerra


Non è finita non è finita
Può sembrare ma la vita non è finita
Basta avere una memoria ed una prospettiva
A prescindere dal tempo
Non è finita non è finita
Nonostante tutto il male non è finita
Fino a quando ho una memoria ed una prospettiva
A prescindere dal tempo, a prescindere da tutto
A prescindere da me
A prescindere da me
A prescindere da me


domenica 9 gennaio 2022

10 anni

Sembra ieri, ma non lo é. Ne son passati dieci, di anni. Dieci, esatti. Salii su quell'aereo senza saper bene cosa stessi facendo, spinto dalla curiosità di un'avventura. Stavo diventando grande e me ne stavo accorgendo. Non avrei potuto dire di no, gli anni della Crisi non permettevano di sputare sul lavoro, la mia inesperienza non lo permetteva, il "rimboccarsi le maniche" che avevo sempre visto non lo permetteva.
E sono ancora qui.

mercoledì 29 dicembre 2021

sabato 20 giugno 2020

Alex

Massimo Gramellini, 20 giugno 2020


Il giorno stesso in cui tornò a casa senza le gambe, Alex Zanardi volle sfidare suo nipote a nascondino. Prima si infilò nel caminetto. Poi avvicinò due sedie e ci si sdraiò sopra, coprendosi con un plaid. Infine, si mimetizzò dentro il portavivande. La sera, il nipote confidò alla madre: «Da grande voglio guidare una macchina da corsa e non avere le gambe come lo zio». Alex sostiene che, dei tanti complimenti che ha ricevuto, quello rimane per distacco il più bello. Il complimento di un bambino a un uomo che, per rinascere, ha saputo tornare bambino.

Zanardi suscita meraviglia in chiunque, però non hai mai fatto pena a nessuno. Forse perché il primo a non avere mai provato commiserazione per sé stesso è lui. Ogni volta che ci incontriamo, mi interroga sulla sua famosa Regola dei Cinque Secondi, tanto che oramai la conosco a memoria: «Quando in una gara ti accorgi di avere dato tutto, ma proprio tutto, tieni duro ancora cinque secondi, perché è lì che gli altri non ce la fanno più». Lui non si limita a declamarla. La applica nelle corse, contro avversari che ormai hanno la metà dei suoi anni. E la applica nella vita, da quando è nato e da quando è rinato, dopo che un incidente lo ha tagliato in due e in un letto d’ospedale tedesco è stato costretto a decidere se pensare alla metà di corpo che gli era rimasta o a quella che aveva perduto.

Nessuno più di lui avrebbe diritto di passare il tempo a lamentarsi e a maledire il destino, che per Zanardi ha sempre avuto la forma di una striscia d’asfalto: sua sorella morì in un incidente automobilistico, in un altro Alex lasciò una parte di sé, ed è su una strada in leggera discesa che ieri è andata a sbattere contro un camion quella sua adorabile testa dura. Potrebbe lamentarsi, ma non lo fa. Lo considera uno stupido dispendio di energie. Alla tentazione del vittimismo ha sempre opposto lo scudo dell’autoironia: «Sono così emozionato che mi tremano le gambe» è una delle sue battute preferite e la pronuncia rimanendo serissimo, come i comici veri.

Ogni volta che lo si guarda o lo si sente parlare, non si può fare a meno di pensare che tutti, dentro, ci sentiamo simili a come Zanardi è fuori: derubati di qualcosa e costretti a spingere. Solo che lui, dentro, è come noi purtroppo non ci sentiamo quasi mai: completo, sicuro di sé e animato da una passione implacabile per la vita che lo porta a concentrarsi su tutto ciò che fa, e a goderne, come se lo stesse sempre facendo per la prima volta.

Se chiudo gli occhi, lo rivedo alla maratona di Venezia trascinare per oltre quaranta chilometri un amico malato di Sla e scendere dalla carrozzina a un metro dal traguardo per sospingerlo in avanti, saltellando sui moncherini come se fossero delle molle. Ha imparato a giocare con tutto ciò che avrebbe potuto farlo disperare.

Al David Letterman Show arrivò ad appoggiarsi una tazza di tè sulla protesi per illustrare i vantaggi della sua condizione. E il pubblico americano, che per queste cose va pazzo, gli tributò un’ovazione. Una volta ha detto che non vorrebbe riavere indietro le gambe per paura di non riuscire a essere altrettanto felice, ma io non so se credergli. Quelli come lui coltivano la felicità alla stregua di una vocazione e sanno stare bene con sé stessi in qualunque stato. Alex sarebbe Zanardi anche con le gambe. Senza, è semplicemente più utile a noi, che vorremmo avere il suo stesso sguardo meravigliato sul mondo e la sua stessa ostinata allergia per la parola «limite».

Alex Zanardi, detto Zanna, è illimitato: che non significa presuntuoso, ma solo talmente vasto da avere inglobato tutti i confini della natura umana. Roberto Vecchioni gli ha cucito addosso un verso su misura: «Se non posso correre né camminare, imparerò a volare». E anche a giocare a nascondino con la vita, infondendovi la gioiosa serietà di un bambino. La sua canzone preferita è «Don’t stop me now» dei Queen e in chiusura gliela sparo idealmente a pieno volume nelle orecchie. Non fermarti ora, Alex.

giovedì 11 giugno 2020

il Signor Eremio e la solitudine

Il signor Eremio viveva solo in casa ormai da dieci anni. L’ultimo anno era stato il più penoso, perché la terribile epidemia che aveva colpito il paese impediva di uscire, e soprattutto i vecchi erano controllati e si cercava in tutti i modi che non avessero contatti con gli altri.
Così un giorno, dopo aver visto un telegiornale dove uno scienziato diceva che la malattia era peggio della peste e un altro che era appena più di un raffreddore, e soprattutto nessuno dei due diceva quando la situazione sarebbe tornata normale, Eremio spense il video e decise che era ora di farla finita.
Salì in soffitta dove c’era una finestra dalla quale si vedeva la strada deserta, gli alberi in fiore, qualche raro passante. Da lì al suolo c’erano dieci metri, si sarebbe buttato e non avrebbe sofferto.
Ma proprio davanti alla finestra c’era un vecchio baule un cofanetto da due soldi che non aveva mai notato. Il signor Eremio lo aprì ed era pieno di fotografie.
Gli venne voglia di dare un’occhiata.
Nella prima foto, un po’ rovinata e giallastra, c’era il gruppo dei suoi compagni di scuola, quelli con cui aveva trascorso tanto tempo studiando ma anche giocando a pallone e andando al fiume. Al suo fianco nell’istantanea c’era un ragazzo con la zazzera bionda e riconobbe Cherubino. Cherubino era stato il suo migliore amico, insieme aveva passato ore di gioia scatenata, e pomeriggi insieme a pescare sul fiume, fare il bagno e sognare il futuro. In quel momento la vecchia lampadina della soffitta vacillò e si spense per un attimo. Al buio, Eremio si trovò in mano un’altra foto.
Era la foto di Cherubino ben vestito il giorno della comunione, e sotto la data della morte, appena a undici anni. Durante un tuffo nel fiume un gorgo lo aveva afferrato e lo aveva trascinato sotto. Per anni e anni Eremio si sentì solo senza il suo migliore amico, andava al fiume a pescare ma non era la stessa cosa.
La luce della soffitta dondolò si fece fioca poi si riaccese. Eremio estrasse dal baule, la foto di una bicicletta. La sua vecchia Bucefalo, una bici gialla e rugginosa ma che andava come una scheggia. E gli tornò in mente Emma. Si erano conosciuti sulla riva del fiume dove lei gli aveva detto “ne prendi?” che è la frase più terribile da dire a un pescatore. Lui si era voltato arrabbiato poi l’aveva vista, tutta una cascata di riccioli neri e la bocca a cuoricino, l’aveva accompagnata a casa sul cannone della bicicletta e da allora erano stati fidanzati e lui non era più solo, stavano per sposarsi.
Un altro oscillare di luce ed ecco la foto delle nozze, al braccio di Eremio c’era la madre. Morì una settimana dopo. Era già malata e soffriva, ma non voleva rinunciare alla cerimonia. Dopo il padre si chiuse in un cupo silenzio e Emma non rise più. Eremio visse anni di solitudine.
La lampadina brillò. Il padre era morto, il lavoro mancava. Lui andò a lavorare in città, nella grande fabbrica, con tanti amici nuovi che lo prendevano in giro, la fabbrica era così grande che bisognava spostarsi in bicicletta e Eremio divenne operaio specializzato, partecipò a tutte e lotte politiche, cortei e manifestazioni, c’era una fotografia con tutti i suoi compagni a fianco, e non si sentiva solo.
Ma la fabbrica chiuse. La lampadina si fece fioca ed eccolo al tavolo di un bar. Era tornato al suo paese. Ma niente era come prima. Quasi tutti gli amici erano morti o malati oppure passavano il tempo a giocare a carte e a guardare quella maledetta televisione. La foto era sfocata. Eremio si sentiva di nuovo molto solo.
La lampada brillò e in mano gli capitò la foto di Rosario il barbiere. Una sera che era molto triste, Eremio lo sentì cantare nella bottega e si incantò.
-Ma che voglia hai di cantare?-chiese
-C’è sempre un motivo per cantare- rispose Rosario- Ho lasciato la mia terra, non ho più moglie ma mi piace il mio lavoro, chiacchiero con tutti, faccio la barba come nessuno al mondo e penso che vivere qui non sia male. Diventarono amici e Eremio non fu più solo, tornarono a pescare al fiume, anche se adesso era tutto inquinato, facevano lunghe passeggiate e qualche domenica andavano anche al mare e Rosario gli parlava della sua isola, del suo mare, delle barche, del vento.
Eremio ora aveva un amico. La lampadina diventò abbagliante come i fari di un’auto. Tornando in macchina a casa Rosario si era scontrato ed era morto. Ora Eremio capì che sarebbe rimasto senza amici per tutto il resto della vita, che era vecchio e la solitudine non lo avrebbe mai abbandonato. Chiuse il baule con un sospiro.
In quel momento suonarono alla porta. Chi poteva essere? Era un uomo che nei lineamenti del volto era uguale a Eremio, ma era pallido e portava un lungo cappotto nero.
-Buongiorno signor Eremio-disse- mi hanno detto che dovevo venire qui-
-Lei chi è?-
-Lei stava per buttarsi dalla finestra, era già pronto, l’avrei preso e portato via-
-Quindi lei sarebbe….
-Esattamente sono la Morte. Su venga e non esiti. Vuole vivere in un mondo dove la malattia infuria e scoppiano le guerre e il clima si corrompe, e dove la aspettano,ore,giorni, mesi di solitudine? Si ricordi: ogni solitudine contiene tutte le solitudini passate. Mi segua-
-Va bene- disse Eremio
La Morte lo afferrò per il braccio e prese anche il baule.
-No quello no- disse Eremio- il bauletto no-
-È la regola, devo portarlo via-
-No lei lo lascerà qui. C’è dentro la mia vita le mie gioie, i miei pianti, le mie solitudini e le risate in compagnia, non voglio recriminare o protestare ma è roba mia, quella è stata la mia storia. Lei può cancellare tutto in un istante, far sparire ogni attimo di felicità, ma non può spegnere la piccola fiammella che è stata la mia vita. Questa fiammella continuerà a ardere, per poco tempo forse, ma illumina una briciola del mio passato, la mia solitudine mi appartiene e questo baule la protegge.
-Va bene- sospirò la Morte- se non vuole buttarsi dalla finestra faccia pure. Io non obbligo nessuno, dico solo che questo è un mondo dove le sarà molto difficile vivere la sua vecchiaia. A presto, signor Eremio-
-Ehm…signora morte. – disse timidamente Eremio.
-Dica-
-Posso? mi vergogno un po’ ma vorrei fare un selfie con lei…sa, lei è un personaggio molto famoso-
La Morte trasecolò.
-Questo non me l’aveva mai chiesto nessuno.
Fecero il selfie. I passi della morte si allontanarono lungo le scale. Naturalmente nel selfie, di fianco a Eremio non si vedeva nessuno. Ma lui tenne la foto sul comodino, per ricordo, fino alla fine.

Stefano Benni, La Repubblica

venerdì 1 maggio 2020

giovedì 19 marzo 2020

Barricati in casa di tutta Italia, Unitevi!

da Jack Folla, 2020.03.11 (direct link)


Siamo barricati in casa. Personalmente non è cambiato niente. Già da un pezzo ero un koala in estinzione su un divano. Ora è come se avessi la nazione intera seduta in salotto. Condividiamo la strizza d’infettarci, la compassione per chi sta lottando con il virus, l’ammirazione per gli eroi in mascherina delle terapie intensive.

Non manca mai l’idiota che propone un carnevale dei Puffi a piazza di Spagna, o un’orgia di massa travestiti da Tarzan e Jane nel suo villone a Fregene, lanciandoci con le liane tutti nudi dalle finestre in piscina. Sul fronte dei sovranisti, invece, meraviglioso silenzio. “Tornatevene a casa vostra” gli è ritornato indietro come un boomerang.

Francamente proporrei, invece del fantomatico Paziente Zero, di cercare il capostipite di tutti gli imbecilli d’Italia. Il primo di quelli fuggiti in treno di notte da Milano per far apprezzare le bellezze del Sud al coronavirus, seduto in grembo a loro sul Frecciarossa o spaparanzato sui trolley. Rintracciare il primo Adamo o Eva che si è catapultato in Sardegna, illudendosi di salvarsi il culo perché ha la villa a Porto Rafael o l’attico a Capo Caccia, infettando i sardi, invece, e centuplicando il rischio per sé e per loro, avendo invaso un’isola che avrà si e no quattro letti e mezzo in terapia intensiva. E segnalare al pubblico sghignazzo il primo di quelli che non resistono in casa da soli 5 minuti. Quello che “se non mangio subito una pizza 4 formaggi, impazzisco”. Quello che “Mi manca l’aria, scusate ma esco anche perché in casa con voi non ci resisto”. Era lui il pericolo pubblico da trovare: l’IMPAZIENTE ZERO.

Ah se avessi un microfono, fratelli. Altro che Radio Londra! Vi avrei trasmesso RAC, Radio Anticorpi Combattenti. Se il Covid-19 è invisibile, le onde radio lo sono di più. Sarebbe stato un combattimento ad armi pari. Perché anche le parole giuste e la musica vera, contagiano. Ma invece di sbrindellarci i polmoni, ci rafforzano le difese immunitarie e ammutoliscono i fessi, quelli che attribuiscono la colpa a un “gomblotto” ordito da Washington, Mosca e Pechino (più l’immancabile Soros) per imporre il coprifuoco e ridurci in schiavitù.

Tenendo alta la solidarietà e l’amore per chi soffre, riscopriamo quella meraviglia che è il mutuo soccorso, come chi si offre gratis di far la spesa ad anziani sconosciuti, rimasti da soli barricati in casa, per non esporli al pericolo. Guardate che nella conchiglia di questa tragedia è nascosta una perla. La grande occasione che ci offre il Covid-19 è di conoscere quello straniero che abitava silente dentro di noi, ascoltare quel che aveva da dirci da anni, essere riconoscenti a Madre Natura, imparare finalmente la lezione. Meditare con lui, leggere con lui al fianco, giocarci insieme, farcelo nostro compagno. E quando saremo finalmente inseparabili dal nostro vero Sé e il coronavirus sarà debellato, tornare in strada con una visione meno egoista della vita, un sorriso nuovo, una forza ribelle, ospitando nel cuore tutti quelli che in questi giorni malati avremo perduto.

martedì 10 marzo 2020

Un giorno rileggero´ queste parole e vivro´ nuovamente questi giorni.

Orme che non verranno piu´ impresse, piccole orme, piccolissime che non conoscero´ mai... e tanta tristezza negli occhi...

Un giorno che dopo dieci anni, ti fa ritornare piu´ forte che mai, nonna.

Casa, lontana, chiusa. L´Italia, chiusa. I cuori, privi di buon senso, chiusi. Che lezione del virus

lunedì 2 dicembre 2019

Frigo vuoto #31

Acciderbola! Mi e´ finita la voglia. E adesso? Scendo a prenderla o mi metto per un po´ a stecchetto? Son davvero indeciso...

sabato 30 novembre 2019

Muto

Nella Grande Azienda c'é la grande Conference Call, dove tutti, ma proprio tutti i dipendenti del Dipartimento della Grande Azienda son connessi, dalle parti più disparate d'Europa.
C'é quello che parla tanto, c'é quello che non ha un buon inglese, ci sono io, c'é quello che fa sempre domande, quello che ha sempre le risposte. C'é il capo di tutti, serio, che parla poco e principalmente ascolta. Un'umanitá variegata riunita attorno ad un telefono, a discutere.

Interno ufficio, giorno. Siamo in cinque: il Grande Capo, il Tipo Serio, il Tipo-che-sta-lá e i due cazzeggioni (io e il Collega). In mezzo a noi, il telefono con i suoi fili tentacolari muniti di microfono e tastino mute. Cinque laptop sul tavolo, cinque belle testoline.

Si parla e si discute, accompagnando la Call al termine. Ad un certo punto, il Gran Capo toglie il muto e comincia con il condividere un'informazione. Come é giusto cala il silenzio in Europa. E... Tuc... Improvvisamente la lucina sul telefono da verde diventa rossa, segno della riattivazione del muto. Il Gran Capo schiaccia nuovamente e cerca di riprendere il filo del discorso.

E ... Tuc... Di nuovo il muto inserito! Io guardo il telefono cercando di capire e sentendo al contempo il gomito del Collega di fianco.

Il Gran Capo riprende, alterato. Al suo fianco il Tipo Serio mi guarda e ci vediamo allo specchio: serietá e cazzeggio a farsi da parte perché é la confusione a farla da padrona. 

E... Tuc... Ancora una volta il Gran Capo viene azzittito. Il Collega mi continua a dar di gomito, il Tipo Serio ancor più spaurito, il Gran Capo rosso in volto.

Ancora.... E ... Tuc...  Quattro teste si girano all'unisono verso il Tipo-che-sta-lá e che, tranquillamente, giocherellava con proprio tastino del muto!
Giocherellava!
Silenziando il Gran Capo!

lunedì 18 novembre 2019

Ho visto: Parasite

E´ un sabato sera diverso da tanti altri. Solo a casa, in silenzio, pioggia fuori, freddo ovunque, tranquillita´.
Squilla il telefono.
"Andiamo a vedere Parasite? Sta alle 23, coreano con sottotitoli in inglese"
"Sicuro che i sottotitoli siano in inglese? Di coreano so solo "An-nyeong-ha-se-yo!" (ndr che significa semplicemente Ciao!) e "Go-map-seum-ni-da!" (ndr ovvero Grazie!) e un film intero in tedesco ancora non lo riesco a seguire"
"No, non sono sicuro per niente"
"Vabbe´, proviamoci"


Buio in sala.
(per fortuna i sottotitoli sono in inglese)


Cominciamo col dire che e´ una commedia che si fa drammatica, e´ un occhio sulla societa´ coreana, critico, ma che si allarga a comprendere anche la societa´ occidentale. C´e´ una punta di spionaggio e un q.b. di azione. Non se ne puo´ catalogare il genere, il tutto e´ sapientemente mischiato insieme.
Senza troppo scendere nella trama, e´ la storia di come due famiglie coreane, una poverissima e l´altra ricchissima, vengono a conoscersi e ad interagire.
E per prima cosa, gli spazi. tanto la casa dei poveri e´ piccola, sgangherata, piena di cose, rumorosa, inadatta a contenere la vitalita´ della famiglia, tanto la casa dei ricchi e´ grande, pulita, minimal, essenziale, silenziosa, quasi che non bastino mai i respiri dentro ad animarla veramente. Un parallelo perfetto e´ la finestra dei saloni di entrambe: si passa dalla fessura che da´ vista sul - anzi - nel vicolo, pieno di vita sudata e pisciata, di iper-realta´ dei bassifondi di una metropoli alla gigantesca finestra sul giardino perfetto, pieno di calma, ma con una siepe che non si sa se separi l´interno dall´esterno o il viceversa (non vuoi essere visto o non vuoi vedere?). Mille altri esempi son presenti solo su questo tema, come il water rialzato da dove arriva il segnale wifi (la famiglia povera risiede al di sotto di questo standard, oggi accettato come minimo) o la ridiscesa agli inferi (quando troppo in alto si sale, la caduta fara´ piu´ male).
Quindi e´ tutto un gioco di contrasti (povero-ricco, basso-alto, sporco-pulito...) che si mantiene pero´ in perfetto equilibrio: non c´e´ manicheismo, il bene non e´ da un lato, cosi´ come il resto non e´ male. E´. E´ semplicemente cosi´. Sono le situazioni a creare l´empatia tra spettatore e personaggio ad ogni scena, senza mai regalare privilegi a nessuno in tal senso.
Lo spettatore non parteggia completamente, pur all´interno di una storia che descrive la netta separazione tra le classi sociali, tema sentitissimo in Corea del Sud (lo posso testimoniare, lavorando per una societa´ coreana). Cio´ che risalta maggiormente e´ l´immutabilita´ di questo meccanismo sociale, gioco delle parti in cui chi e´ nato nella meta´ giusta lo e´ quasi per diritto divino e che non bada minimamente all´intorno. Da occidentale non penso di poter cogliere perfettamente questa sfumatura perche´, mentre in Occidente le classi esistono ma possono liquefarsi e mischiarsi (come il sogno americano suggerisce), in Corea chi ha potere avra´ sempre la precedenza soverchiando ogni velleita´ altrui. I poveri Kim hanno dalla loro un mix esplosivo di voglia, intelligenza e tenacia che, in un qualunque scenario in direzione EU-USA li trasformerebbe in uno spot di riscatto sociale mentre in Parasite li vede partire e ripartire sempre dallo stesso punto, immutabile come si diceva.
Chi prova a rompere l´equilibrio e´ rappresentato dal solo Min, l´amico di buona famiglia dei Kim il quale - estremizzando - paga immediatamente il proprio aiuto (reale e realizzato) con l´esilio (chi forza le regole, anche se a fin di bene, e´ fuori dalla societa´, da qualunque classe). Tutti gli altri personaggi tentano di elevarsi, di progredire, ma in realta´ ricadono sempre nel proprio alveo. Per salire tanto servono una concentrazione ed una applicazione super-umana che non possono essere mantenute troppo a lungo; si deve avere un piano ma la vita si rivela essere troppo aleatoria da gestire in modo organico e deterministico. Pertanto ci si puo´ accontentare, accettando piccoli miglioramenti nella rincorsa alla vetta, limitando i rischi e vivendo di luce riflessa, ringraziando ad ogni passo sulle scale oppure tentare il tutto per tutto e ritrovarsi con sicurezza nella propria iniziale insicurezza.
Cosa resta? Restano i sogni ad animare il presente, i sogni che alleviano la vita che scorre, ma che sempre sogni devono restare, in modo che l ´equilibrio resti preservato.

domenica 20 ottobre 2019

"Imparare" e "Insegnare": sono le due parole che bisogna porre al centro della nostra vita.


Questo lo ha detto ieri Stefano Benni, qui a Francoforte, qui a me davanti

martedì 15 ottobre 2019

Dove é andata la Sinistra?

Da rivedere ogni volta che ci si pone la domanda - anzi - la Domanda: ma che fine ha fatto la sinistra in Italia?


(questo, nel 2010)

sabato 14 settembre 2019

Serve tempo

Le rivoluzioni chiedono tempo.
Passare da Allegri a Sarri sarà un processo per niente scontato. Per adesso non si vede assolutamente niente del nuovo corso: un buon primo tempo col Parma, buoni 60 minuti col Napoli e zero oggi con la Fiorentina. Totale 7 punti ... e ci é anche andata bene.
Speriamo.
Di certo non é un buon inizio (e personalmente non capisco le esclusioni di Dybala e soprattutto Emre Can).
Scherzando...
Con Allegri giocavamo male, gli attaccanti erano sempre abbandonati, eravamo fisicamente spompati, avevamo mille infortunati, facevamo un casino di turnover.
Con Sarri, manco piú il turnover.

sabato 17 agosto 2019

sabato 20 luglio 2019

6x6 + 3

6x5 + 3

Colpa di un altro

Ciao Mattia, da Boris a qui ... a lassú